mercoledì 23 gennaio 2013

La saggezza nel silenzio: Accabadora

Screeshot dal video di La fille damnée di C. Corbel.
Sul mio "blog pubblico" (quello meno... discreto, su cui scrivo firmandomi con nome e cognome) oggi ho pubblicato una recensione di Accabadora di Michela Murgia, romanzo che da tempo avevo in mente di leggere e che tratta di una figura particolarissima del folklore sardo: quella dell'"ultima madre", ovvero colei che accompagna i malati alla morte, attraverso l'eutanasia.
Non è mia intenzione ripetere qui quanto già scritto. Vorrei solo annotare, su queste pagine, il passaggio che ritengo più significativo per la comprensione dell'opera e chi si ricollega (meravigliosamente) con quanto sto sentendo/studiando/valutando in questo periodo a ridosso della Candelora...

«Vuoi giudicare del come senza capire il perché? Tu hai sempre fretta di emettere sentenze, Maria.»
«Non sono io che ho fretta, anzi. Se le cose devono accadere, al momento giusto accadono da sole.»
La vecchia si tolse lo scialle bruscamente, lasciandolo cadere senza grazia sulla sedia. Gli occhi scuri fissarono Maria con una certa severa impazienza. [...]
«Accadono da sole...» mormorò, sorridendo senza alterigia. «Sei nata tu forse da sola, Maria? Sei uscita con le tue forze dal ventre di tua madre? O non sei nata con l'aiuto di qualcuno, come tutti i vivi?»

«Io ho sempre...» Maria accennò a replicare, ma Bonaria la fermò con un gesto imperioso della mano.
«Zitta, non sai cosa dici. Ti sei tagliata da sola il cordone? Non ti hanno forse lavata e allattata? Non sei nata e cresciuta due volte per grazia di altri, o sei così brava che hai fatto tutto da sola? [...] Altri hanno deciso per te allora, e altri decideranno quando servirà di farlo. Non c'è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo di strada, Maria, e tu dovresti saperlo più di tutti. [...] Non mi si è mai aperto il ventre e Dio sa se lo avrei voluto, ma ho imparato da sola che ai figli bisogna dare lo schiaffo e la carezza, e il seno, e il vino della festa, e tutto quello che serve, quando gli serve. Anche io avevo la mia parte da fare, e l'ho fatta.»
«E quale parte era?»
«L'ultima. Io sono stata l'ultima madre che alcuni hanno visto.»
(M. Murgia, Accabadora, p. 116-117)
A mio avviso, però, la frase più bella di tutto il romanzo è quella, apparentemente insignificante, in cui si parla del lutto portato da Maria per la sua madre adottiva Bonaria: «Come le aveva insegnato Nonaria, Maria Listru Urrai indossò il lutto con discrezione». Le "madri" dovrebbero sempre insegnarci il valore del silenzio. E noi dovremmo sempre saperle ascoltare.

mercoledì 16 gennaio 2013

Intermezzo-perché-sì


Grazie perché sono nata proprio quel giorno.
Grazie per la "torre" in cui posso sempre rinchiudermi, allontanandomi dalle brutture del mondo.
Grazie per i miei dubbi e per tutto ciò che ancora non conosco e che ho da scoprire.
Grazie per il mio Amore.
Grazie per la campagna in cui vivo.
Grazie perché sono proprio così - e non diversa.
Grazie per le mie parole.
Grazie per la voglia di ridere.
Grazie per i fiori di digitale e per lo stramonio che cresce abbondante nel mio giardino.
Grazie per tutti coloro che mi amano e che sanno esserci con discrezione.
Grazie per la discrezione stessa.
Grazie per ciò che (non) sono.
Grazie per la ciclicità di questi anni.
Grazie per il percorso che - fino a qui - ho saputo compiere da sola.

Ora si prosegue.

martedì 8 gennaio 2013

Che cos'è, dunque, la perfezione?


«La perfezione è terribile, non può avere figli», scriveva Sylvia Plath, sintentizzando con parole lucide e dolorose l'accezione negativa del termine.
Anche a me piace poco la parola "perfezione": mi rievoca una sterilità angelica, un'anoressica tensione al corpo immacolato, l'infelicità profonda di chi aspira al cielo (come dimenticare Angelica farfalla di Primo Levi?).
Non credo affatto all'adamantina perfezione di chi:
- si spaccia per "maestro", senza neppure rendersi conto di stare annaspando lungo il proprio cammino;
- si incolla sul volto maschere create ad hoc (la Dura e la Perennemente-Incazzata; l'Assolutamente-Coerente-con-i-propri-Princìpi; e, per contro, la Fata Buona e la Principessa-Senza-Macchia);
- chi è pronto ad aggredire e (quel che è peggio) a giudicare e non spreca tempo a com-prendere;
- chi coltiva in casa la malinconia e, per sopportarla, passa al setaccio le esistenze altrui.
Questa perfezione è pericolosa per chiunque - figurarsi per chi ha intrapreso il sentiero della maghéia, della fìsica... Perché streghe e masche sono da sempre le imperfette per eccellenza: sono coloro che zoppicano, coloro che non vedono e che vivono ai margini, in limine... A volte peregrine tenaci nel mondo concreto, "reale", e a volte disperse nell'Oltre - al di là del velo.

Non per ripetermi, ma ci troviamo di nuovo ad affrontare il discorso del viaggio attraverso le acque morte. Viaggio che ciclicamente ci si ripropone e che linearmente, di fatto, occupa tutta la durata della nostra vita terrena.

Le donne, in teoria, dovrebbero essere maestre nell'arte dell'im-perfezione:
«Avrebbero voluto catturarla e fargliela pagare, ma per legare una donna lupo ci vuole una catena fatta con rumore di passo di gatto, barba di bambino, respiro di pesce e latte d'uccello» (L. Pariani, La valle delle donne lupo, p. 184).
Purtroppo, non tutte le donne sono donne-lupo e per questo, molte di noi scelgono di piegare il capo di fronte al potere maschile, di indossare la maschera per compiacere, per omologarsi, per raggiungere la perfezione - ingannevole, sterile, infida. Ambiscono a diventare senza macchia per affermarsi in un mondo che le vuole spose e angeli del focolare; oppure, al contrario, virago sempre e comunque combattive - o, meglio, incattivite.
«[...] lingua sciolta è all'uso delle beghine; l'uomo nelle situazioni difficili più risparmia la lingua e meglio avanza verso il suo scopo. Chiaro che lo diceva perché era maschio; agli uomini non piace se le donne parlano; epperciò loro tiran fuori sempre sentenze dei seculòrum per convincere le donne a tacere» (p. 186).
Taci e abbassa il capo di fronte a chi è più forte di te. A chi conosce l'arte del sopruso, del bavaglio, della calunnia e dell'infliggere dolore. Di fronte ai "maschi" (che poi, s'intende, non sono tutti uguali...) e al potere costituito: la Chiesa, ad esempio - che nei secoli ha soffocato tra fuoco e fiamme chiunque scegliesse di intraprendere quello che ormai mi piace chiamare "il sentiero degli zoppi".
Ebbene, a questo tipo di potere e alla mancata realizzazione di (molte, purtroppo!) persone che credono di trovare la felicità indossando costumi di cartapesta, io ho capito di preferire la perfetta imperfezione di chi ha imparato a convivere coi propri difetti, senza lasciarsi mai sconfiggere da questi ultimi; di chi sa ascoltare nell'oscurità per poi risplendere con maggiore fulgore nella luce; di chi "sa di non sapere"; di chi non si preoccupa troppo di ergersi a inquisitore ma, piuttosto, considera con un sorriso le miserie altrui e prosegue sulla propria strada - perché sa che la meta è lontana, il cammino è arduo e tortuoso e non c'è tempo da perdere in chiacchiere.


Mai come in questo periodo (di caos e di paura globali) c'è bisogno di leggerezza, di silenzio, di bellezza. C'è bisogno del potere forte della memoria - unica bussola possibile nei momenti di smarrimento. Occorre avere ben presenti di quale percorso siamo figli e ad esso attenerci, costi quel che costi. La ricompensa, se avremo lavorato bene, non tarderà ad arrivare.

venerdì 4 gennaio 2013

Il cammino imperfetto

Ovvero il tempo dell'airone


La ruota gira e questo per me è il tempo dell'airone.
Nella zona dove vivo ce ne sono davvero tanti, compagni silenziosi delle mie giornate. Li vedo dalla finestra dello studio, passo accanto a loro durante le mie passeggiate fra i campi... Ricordo che un pomeriggio il mio caro Mickey ebbe uno scontro con uno di loro: il mio piccolo cane rosso si era fatto sotto abbaiando e l'airone, dopo essersi levato in volo, aveva iniziato a volare minacciosamente in tondo sulla testa di Mickey, tanto da costringermi ad avvicinarmi velocemente, battendo le mani e facendo un gran chiasso. Solo a quel punto l'uccello infastidito si era allontanato.
Andando a spulciare tra i miei quadernetti (dove appunto informazioni ed intuizioni), noto che in passato lo avevo definito "l'esploratore". Non c'è altro. Ho scritto solo "l'esploratore", senza indicare da chi o da che cosa mi fosse stata ispirata quella definizione. Forse da nulla.
L'airone, del resto, è un animale che vive in limine (si pensi alla sua predilezione per le zone palustri, per le risaie, dove la terra si congiunge col cielo ed è come se i confini venirssero meno - anche se per un periodo di tempo limitato; per dirla con De Martino, è un po' come se l'airone vivesse in una sorta di mundus dei giorni nostri...), tanto che nell'antico Egitto era identificato con Bennu, l'uccello sacro - con la Fenice. E quale animale può meglio svolgere il ruolo di "camminatore" attraverso le acque morte se non l'airone, che vive per gran parte della sua esistenza immerso nelle acque immobili? E' una Fenice perfetta, che ci conduce attraverso la morte nell'acqua, piuttosto che attraverso il fuoco, lungo lo svolgersi di un cammino imperfetto.

Le "acque morte" della mia zona. Foto di © Cristiano Villa.
Cammino che è imperfetto anche fisicamente, come già si erano accorti gli antichi, a causa dell'andatura apparentemente claudicante dell'airone (e delle garzette, delle nitticore ecc. ecc.).
Carlo Ginzburg, nella sua bellissima Storia notturna, indica queste "imperfezioni" (nel mondo animale e in quello umano) come segni distintivi importanti:
«In una società di vivi, i morti possono essere impersonati soltanto da coloro che sono inseriti imperfettamente nel corpo sociale».
E quale modo migliore, per scovare gli "imperfetti" (coloro che sono destinati ad "avere a che fare coi morti" e, attraverso di essi, se avranno ben lavorato, giungere alla purificazione), se non andare a caccia di segni? Dai marchi di Satana alla cecità dei poeti-veggenti, di Cecolo, di Tiresia; passando per la zoppìa di Edipo, di Vulcano, degli uccelli di palude (appunto). E' il passo di Yu.
Dopotutto, il cammino attraverso le acque morte non è un viaggio facile: è il Cammino dei Folli...