mercoledì 6 marzo 2013

Children of the Sun: solarità e poiesi



«Tendono alla chiarità le cose oscure...» (E. Montale, Ossi di seppia)

Noi non sappiamo il futuro. Jodorowsky diceva che, nel momento stesso in cui fossimo capaci di vederlo, lo staremmo già modificando - o creando.
Non è compito nostro essere "divini": la pena maggiore, per chi si crede sempre vincente e incorruttibile (quante persone simili incontriamo nella nostra vita quotidiana?), è quella descritta da Primo Levi nel bellissimo racconto Angelica farfalla. Chiunque voglia trasformarsi in angelo, diventa un monstrum. Prodigioso, senz'altro, ma dis-torto.
A noi non resta che l'intuizione, il guizzo di luce, il baleno, la "chiarità a cui tendono le cose oscure", rivelandosi - ma per un attimo soltanto, e solo per indicarci la Via.
Per questo siamo nel Sole. E se non ci siamo, con tutte le nostre forze dovremmo tentare di tornare alla luce - disfandoci ora della terra, sollevando i nostri calcagni che per lungo tempo (per molti mesi - oppure per intere fasi della nostra esistenza) sono stati ben piantati nel fango, nella Regione d'Inverno.

E se è innegabile che l'eccesso di luce provoca cecità (come ci ha raccontato Saramago e ha ripetuto Montale descrivendo "rivi strozzati" dalla calura e "terreni bruciati dal salino"), è pur vero che, mantenendo dalla Luce la giusta distanza e calibrando bene il Sole quanto l'Ombra, il femminile e il maschile, il cosmo e il caos, sarà possibile mantenere animus e anima in equilibrio perfetto...
L'equilibrio, dopotutto, altro non è che la gestione positiva dell'energhéia che, se mal indirizzata, assume le forme (discutibili) del relativismo o del fanatismo.
La poesia, in questo senso, ha un'importanza fondamentale:

«Oltre al significato grammaticale del linguaggio, ce n'è un altro, un significato magico, che è l'unico che ci interessa... Il poeta crea, fuori dal mondo esistente, il mondo che dovrebbe esistere... Il valore del linguaggio della poesia dipende direttamente dalla sua lontananza dal linguaggio parlato... Il linguaggio si trasforma in un cerimoniale di esorcismo e si presenta nel lucore della sua iniziale nudità, aliena da ogni abito convenzionale previamente stabilito... La poesia non è altro che l'ultimo orizzonte, che, a sua volta, è il crinale in cui gli estremi si toccano, dove non esiste né contraddizione né dubbio. [...] Nella sua voce c'è un incendio inestinguibile.» (Vincente Huidobro)

Ancora la parola poetica, ancora la po(i)esi. Sarà un caso, che entrambe ritornino in questi tempi di confusione ideologica, mentale... e anche linguistica? In quest'epoca in cui tutti sembrano aver paura di (auto)definirsi, desiderando sempre di essere "altro" rispetto a ciò che sono in realtà? L'attuale utilizzo disonesto del linguaggio (come lo definiva Steiner) non conduce alla "Luce", bensì "all'oscurità e alla pazzia": «Nessuna menzogna è troppo grossa per non essere espressa con accanimento. Se non riusciremo a restituire alle parole dei nostri giornali, delle nostre leggi e dei nostri atti politici una certa dose di chiarezza e di rigore di significato, la nostra vita si avvicinerà ancora di più al caos» (G. Steiner, Linguaggio e silenzio) e saremo destinati, letteralmente, a "morire di silenzio"...

2 commenti:

Emmeggì ha detto...

Bellissime e...luminose parole.
Un caro saluto!

Canidia ha detto...

Grazie! :)
Un saluto a te!

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