domenica 27 giugno 2010

Riflessioni post-solstiziali


La luna della "Notte di San Giovanni"

«Brucia fiori di digitale raccolti con la Luna Nera e poi seppelliscine le ceneri nella terra fredda. Non dimenticare di "legare" con nodi stretti, affinché non possano sfuggire... Ah, e non toccare i gatti, sono solo superstizioni. I gatti sono il veicolo, non l'oggetto "simpatico".»
(Vecchi ricordi...)

Può essere la notte della furia (quella del "canto del capro", per intenderci), la notte dei "morti che recano messaggi" - e infine delle erbe raccolte e lasciate a essicare, senza fretta.

Durante i giorni solstiziali ho riflettuto sulla necessità del Male (inteso come Cessazione, Contrappasso), sulla bellezza della Ruota che gira senza potersi arrestare, sulla nostra volontà di seguirla - nonostante tutto. Su quanto forti siano i simboli racchiusi in determinati luoghi.

(Non mi riferisco solo al Bosco della Partecipanza, di cui tornerò a scrivere presto. Parlo anche della Saletta, dove mi sono recata qualche giorno fa.
I. ha detto di averci trovato ramoscelli bruciati e cerchi di pietre. La gente del posto parla del demonio - c'era da aspettarselo. Le energie, lì, sono forti, ma non negative. E' il Trapasso? C'è un piccolo cimitero... I morti, che parlano? E nessuno riesce a comprenderli...)

Ciò che mi spaventa è la capacità orribile dell'uomo di distruggere e dimenticare.
Anche su questo ho riflettuto parecchio: e ieri, mentre riportavo su FB la notizia delle due orse affogate in una cisterna per la raccolta dell'acqua lasciata incustodita (la madre che cercava disperata di salvare la figlia), l'ho sentita con forza, la sensazione di perdita, di rammarico...
Non voglio perdere i "MIEI" luoghi, la bellezza del rapporto insostituibile con i "MIEI" animali...
Non voglio che il mondo (quello che appartiene alla maggioranza degli esseri umani - non certo a me!) entri nel mio hortus conclusus e prenda il sopravvento, spezzando il Patto, l'Equilibrio.
Ecco, la necessità della Difesa, della Cessazione, del Trapasso.
La "neretudine" non mi spaventa, la considero un passaggio obbligato. O "giustizia distributiva", chiamatela come volete.

«"Hai vinto: cedo ai tuoi poteri magici. Per l'infernale regno di Proserpina, per Diana, invitta dea, per quegli oracoli, per quei trattati di magia, che possono strappare al cielo il firmamento, ascoltami, Canidia, lascia le segrete formule, rimanda indietro, svolgi la tua trottola! [...]" "A chiusi orecchi bussa la tua supplica: non son più sordi i sassi che nel rigido inverno il mare batte ai nudi naufraghi. [...]"»

(Orazio, Epodi, "Palinodia", XVII)


Canidia nel suo "hortus conclusus", in una delle notti solstiziali.

domenica 20 giugno 2010

Del Solstizio e della danza di Iside

Non avrei potuto immaginare un Solstizio più GRANDIOSO: questa sera, infatti, danzeremo per Iside. E il mio gruppo rappresenterà proprio la capacità generatrice (apportatrice di pace e amore) della Grande Dea.

FELICE SOLSTIZIO A TUTTE/I!!!



«Vengo a te perché ho avuto compassione delle tue sventure, vengo a te benevola e propizia. Cessa ormai questo pianto e poni fine ai tuoi lamenti, scaccia l'angoscia: ecco, grazie al mio favore, per te sorge ormai il giorno della salvezza.»

(Apuleio, Le metamorfosi, libro XI)


lunedì 14 giugno 2010

La Papessa

«La donna impari il silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, nè di dettar legge all’uomo, piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo…essa potrà vivere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità nella santificazione, con modestia.»

(Lettera di San Paolo a Tito, 2,5)

Ne avevo già parlato tempo fa e sabato sera finalmente sono riuscita a vedere La papessa, il film di Sonke Wortmann ispirato alla vicenda della papessa Giovanna.
A prescindere dal fatto che la figura di Giovanna appartenga alla leggenda piuttosto che alla storia, la sua vicenda - raccontata prima dal romanzo di Donna Woolfolk Cross e poi dalla pellicola di Wortmann - resta tuttavia un bellissimo esempio della propaganda misogina portata avanti per secoli dalla Chiesa, sino ai giorni nostri.


La papessa nei tarocchi. Immagine tratta dall'interessante sito Visionaire.org.
La papessa incarna proprio il sacerdotale femminile, la conservazione dell'energia po(i)etica, creatrice...

Il film, devo ammetterlo, mi è piaciuto. Non certo perfetto (Goodman, ad esempio, è simpatico, ma troppo yenkee), è tuttavia curatissimo nella ricostruzione storica e nella caratterizzazione dei personaggi (perfino dei più spiacevoli, come il padre di Giovanna). Il Medioevo, una volta tanto, ci viene presentato in tutto il suo "bruegeliano" splendore: monasteri conservatori di cultura, battaglie sanguinose, furti e assassinii, baracche fatiscenti in cui viveva la popolazione, infestate da topi e pulci...
Senza contare, poi, che la figura di Giovanna viene tratteggiata (e resa in maniera molto convincente dalla protagonista, Johanna Wokalek) con grande umanità: sarebbe stato facile farne una "virago" inflessibile e indomabile; invece, Giovanna è una donna dolcissima, che vive la sua intelligenza formidabile e il proprio destino con forza, sì, ma anche fra mille umani cedimenti. Esperta nel riconoscere e utilizzare le erbe (è davvero un po' strega, come lo sono state tutte le donne condannate dalla Chiesa e dall'universo maschile!), si prodiga per il bene utilizzando la propria vasta cultura come mezzo, anziché considerarla la meta ultima del cammino spirituale intrapreso.
Giovanna, insomma, vista non solo quale fulgida eccezione, ma come dispensatrice di vita nel senso più elevato del termine.
Forse molte femministe agguerrite non avranno apprezzato che lei abbia scelto di tenere accanto a sé l'uomo che amava (che, nella storia tramandataci, viene svilito al rango di amante, semplice mezzo per soddisfare la lussuria femminile) e che sia morta in seguito a un aborto (qui, invece, Wortmann si è mantenuto fedele alla versione ufficiale): per me, invece, entrambi i particolari arricchiscono la figura di Giovanna. Da sempre, infatti, ritengo che sviluppare e capire appieno la nostra natura femminile non significhi combattere e opporsi al principio maschile; bensì accoglierlo e com-prenderlo profondamente, rivalutandone le caratteristiche positive.
Del resto, la stessa Giovanna si fingerà uomo per anni, proponendo dell'uomo una visione alternativa, incarnata poi anche da Gerold.
Dal punto di vista sia drammatico sia visivo, di grande impatto anche il finale... che ovviamente qui non racconterò!



Clips tratte da La papessa: 1 e 2.

martedì 8 giugno 2010

Empatheia

«La capacità di pensiero è attiva se è unita all'oggetto; il pensiero non si separa mai dall'oggetto.» (Goethe)

Nel posto dove lavoro adesso, sono a stretto contatto con persone che dicono di studiare (o aver studiato) la natura; e che puntualmente, con ogni gesto e parola, quotidianamente dimostrano di non voler avere proprio niente a che fare, con la natura in questione.
Basti pensare al mio vicino di scrivania (laureato in biologia) che afferma, con una sfumatura di compiacimento: «Io detesto le piante» o a tutti i miei colleghi che, dopo ore trascorse in laboratorio (un seminterrato tutt'altro che accogliente) e pur avendo a disposizione - appena fuori dalla porta antincendio - uno splendido e grande prato verde, preferiscono consumare il loro pranzo al chiuso, seduti al tavolone centrale dell'ufficio.
Io, laureata in lettere e quindi autentico pesce fuor d'acqua in questo ambiente, sono perfettamente consapevole di non possedere le nozioni degli altri "tecnici" su insetti e cicli larvali e tuttavia credo di avere con la natura (in ogni sua forma e accezione) un rapporto molto più partecipe e sentito.
Del resto la "Natura" non è una macchina né un software sofisticato: è qualcosa di vivente e di pulsante. A che scopo conoscerla, se poi non le si dedica tempo? Se non si vive IN lei e PER lei? Che senso ha?
Sarebbe come se io dicessi di studiare appassionatamente la poesia - e poi mi rifiutassi di leggere qualsiasi tipo di componimento poetico!

Empatheia. Valsesia, 6 giugno 2010.

Ci riflettevo domenica scorsa, mentre percorrevo un meraviglioso sentiero di montagna. Come accade per ogni tipo di relazione con altri esseri viventi (siano essi esseri umani o animali), anche nel nostro rapporto con la Natura (se desideriamo che sia vitale, produttivo e po(i)etico) l'empatia è un requisito fondamentale.
Non si può "studiare la Natura" (per usare l'espressione tanto amata dai miei colleghi) e poi esimersi dall'essere empatici nei suoi confronti.

Non è, questa, una delle mie solite farneticazioni. C'è chi ci ha già pensato, prima e meglio di me. C'è chi, addirittura, ha individuato nell'empatheia l'unica soluzione possibile per salvare il nostro grande mondo malato.

«La vecchia scienza considera la natura come oggetto; la nuova come RELAZIONE. La vecchia scienza è caratterizzata da distacco, espropriazione, dissezione e riduzione; la nuova da impegno, condivisione, integrazione e olismo. [...] La vecchia scienza premia l'autonomia dalla natura; la nuova la partecipazione alla natura. [...] Solo un'azione concertata che stabilisca un senso collettivo di affiliazione con l'intera biosfera potrà assicurarci un futuro. [...] La civiltà dell'empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all'intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rullo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto forma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distruzione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un'empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?»

(J. Rifkin, La civiltà dell'empatia)

Dal microcosmo al macrocosmo: ecco come un piccolo laboratorio di analisi del nord Italia può fungere da cartina tornasole per verificare quanto l'empatia sia poco diffusa e quanti danni possa procurare, nella società attuale, l'atteggiamento che Rifkin definisce tipico della "vecchia scienza".
Tuttavia, da un esempio negativo si può sempre trarre utili lezioni. Senza contare che esistono anche realtà migliori. Come racconta Rifkin, nel suo saggio edito (ahinoi!) da Mondadori, in Canada si sta sperimentando un programma (nato dagli studi dell'insegnante Mary Gordon) che mira a "educare all'empatia" i bambini e gli adolescenti e che si appresta a essere messo in pratica in tutti gli ordini di scuole.
Sarà questa nuova sensibilità, la "poesia" che salverà il mondo?

domenica 6 giugno 2010

Montagne...

Domani torno in montagna. Non proprio alle "mie" montagne (per quelle ci vorrà ancora un po' di tempo), ma comunque fra prati, fiori e piante vibranti di Vita, acqua limpida, cielo terso...
Ne ho bisogno come non mai, per "lavarmi" di dosso tutta l'energia negativa che respiro quotidianamente - mio malgrado.
E con questo felice pensiero vado a letto, pensando alle Stelle.

venerdì 4 giugno 2010

Digitalis Purpurea L.

La fioritura della digitale purpurea racchiude un fascino potente. Amore e morte. Non sorprende che, come racconta Maria Pascoli, sorella del più celebre Giovanni, le suore del convento di Sogliano esortassero le loro allieve a starne ben lontane.

«Un giorno, dopo la merenda e la ricreazione fatte all’aperto, noi educande con la nostra Madre Maestra c’incamminammo per un sentiero che aveva ai lati due giardini, uno cinto dal bussolo e l’altro senza veruna siepe. In questo scorgemmo una pianta nuova che non avevamo mai veduta, non essendo mai solite passare da quel luogo. Era una pianta dal lungo stelo rivestito di foglie, con in cima una bella spiga di fiori rosei a campanule, punteggiati di macchioline color rosso cupo: la digitale purpurea. La curiosità di poterla guardare bene da vicino e di sentire che odorava ci spinse a entrare nel giardino; ma appena ci fummo fermate presso la pianta, la Madre Maestra ci intimò di allontanarci subito di lì, di non appressarci a quel fiore che emanava un profumo venefico e così penetrante che faceva morire. Indietreggiammo impaurite e ci riportammo leste leste sul nostro cammino. Io rimasi per un pezzo con la paura di quel fiore velenoso, e quando si doveva passare nelle vicinanze me ne stavo più lontana che fosse possibile senza nemmeno guardarlo.»

(da Lungo la vita di Giovanni Pascoli)

Né che Pascoli stesso ne abbia fatto l'oggetto di una delle sue più celebri poesie, incentrata proprio sul tema dell'opposizione eros e thanatos.

«Io,»

mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a

ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d'un sogno che notturno arse e che s'era
all'alba, nell'ignara anima, spento.

Maria, ricordo quella grave sera.
L'aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M'inoltrai leggiera,

cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!

Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi... (l'altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta

con un suo lungo brivido...) si muore!»

Intelligenza femminile, con la sua fioritura mi ha dato energhéia dopo un periodo di forte crisi. E' come se mi avesse richiamata, con vigore.
Morire per risorgere, per tornare a essere dopo la riduzione in milioni di frammenti. Il caos necessario alla generazione della vita, nella mia mente, nel mio corpo, nella Natura tutta...
Il caos che è conoscenza e visione:

«Vedono. Sorge nell'azzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno d'incenso.

Vedono; e si profuma il lor pensiero
d'odor di rose e di viole a ciocche,
di sentor d'innocenza e di mistero.»

Il "vedere" conduce alla realtà "altra" (inacessibile ai comuni esseri umani, raggiungibile per mezzo dell'occhio poetico - o di intelligenze superiori), alla vita oltre la morte.

«Piangono, un poco, nel tramonto d'oro,
senza perché. [...]
In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,

l'alito ignoto spande di sua vita.»


La mia digitale. Maggio 2010.

Nome:
Digitalis Purpurea L.
Famiglia: Scrophulariaceae
Diffusione: Europa centro-meridionale. Viene coltivata nei giardini (è una pianta tipica dei cottage garden) ed è altresì presente in natura allo stato selvatico. Cresce nei boschi e nei prati.
Descrizione: pianta erbacea biennale. Durante il primo anno di vita produce una "rosa" di grandi foglie color verde scuro con margine dentellato. Da queste, nel secondo anno, parte un alto fusto, che produrrà una ricca serie di campanule rosa-fuxia.