sabato 30 gennaio 2010

Della piena di gennaio



Non il ramo spezzato, non l'erba scomposta lungo il sentiero
ci dicevano il suo passaggio, ma il tocco di solitudine
che ogni cosa in sé custodiva ed a noi rendeva, liberando
dopo il messaggio consueto l'altra, l'ignota parola.
Come trasalivamo ascoltandola, come si orientava sicuro
il nostro cuore sull'invisibile traccia!
Così noi sempre ti seguimmo, Dominatore e Amato,
né ci sorprende la bianca luce in cui svelato al nostro fianco cammini
(ora che l'ombra carnale è tramontata sul meridiano della morte)
perché da lungo tempo te solo conoscevamo, a te solo
obbedivamo, tua destinata preda,
trascinando sulle vie della terra la tua celeste catena straniera.

(Margherita Guidacci, da La sabbia e l'angelo)

(All'angelo, per questa luna potente, che mi parla da giorni... E' il MESSAGGIO ciò a cui tutto ruota intorno. Bisogna com-prendere e svelare.)

Delle orchi-dee

Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
Impigliata una notte fra rami antichi...
(Cesare Pavese)


La mia oncidium.

Oggi, le orchidee sono considerate dalla maggior parte delle persone dei "fiori di lusso": vengono fatte fiorire forzatamente e vendute poi in confezioni eleganti, a caro prezzo.
E' una cosa davvero molto triste, perché, in verità, l'orchidea è un fiore di grande suggestione, dal simbolismo potente.
Meno delicate di quello che comunemente si pensa, le orchidee temono solo la luce del sole diretta, che brucia le loro foglie e i loro petali (creature d'ombra...). Per il resto, sono abbastanza robuste: non necessitano frequenti innaffiature (contrariamente a quello che dicono di solito i vivaisti) e non è impossibile farle fiorire in casa. Anzi.
Per le orchidee più che per qualsiasi altra pianta è importantissimo (fondamentale direi, per quella che è la mia esperienza) comprendere e rispettare il loro ciclo vegetativo: annaffiare più del dovuto un'orchidea "in riposo" può significare far marcire le sue radici e perderla definitivamente.
Se si possiede un'orchidea - a qualunque specie essa appartenga - entrare in sintonia con lei è imperativo. Ci sono piante che possono sopravvivere comunque (penso alla mia spensierata waxflower, alle mie robuste verbene...); l'orchidea no. Se non la capite, la perderete.

Il nome "orchidea" deriva dal greco orchis, che significa "testicolo": un nome volgare per uno dei fiori più belli esistenti in Natura. Le fu dato perché alcune specie hanno alla base dello stelo due tuberi paralleli: l'analogia con l'apparato genitale maschile è evidente e, se la si accosta alla forma del fiore (molto simile a una vagina), allora il simbolismo risulta ancora più forte.
Già Teofrasto (372 a.C.) riporta le proprietà medicamentose dell'orchidea:

«Ci sono piante che stimolano gli organi riproduttivi, altre ne inibiscono l'azione. Altre ancora possiedono entrambe le virtù, com'è il caso della pianta denominata orchis. Essa possiede in effetti due testicoli, uno grande e uno piccolo. Quello più grande, preso insieme al latte di capra, favorisce il coito; quello più piccolo lo impedisce».

Anche Dioscoride (medico greco del I secolo d.C.) parla dell'orchidea, individuandone cinque varietà: l'Orchis, la Serapias, l'Elleborina, il Satyrium e l'Ophrys.
Fra gli autori romani, Plinio il Vecchio (29 - 79 d.C.) disserta sulle proprietà fecondatrici (o inibitorie) della pianta - o, per meglio dire, dei suoi tuberi.

Inutile dire che da qui a divenire "erba magica" a tutti gli effetti il passo fu breve.
In Tunisia veniva chiamata El mita El haya, "La morta e la viva" e anche qui veniva utilizzata per stimolare il processo riproduttivo.
In Occidente, diviene presto simbolo di Dio - o di Satana.

Ciò che colpisce, leggendo queste prime notizie (ne riporterò altre prossimamente!), è la connessione evidente dell'orchidea non solo con la capacità generativa (simbolismo scontato, data la già menzionata forma dei fiori e dei tuberi), ma anche con il suo esatto contrario: la Morte.
Si pensi che i nomi di alcune orchidee tutt'ora esistenti derivano da racconti o suggestioni di morte: la Dactyloriza deve il suo nome al furto di una mano da una statua miracolosa e alla successiva morte del ladro; l'Aceras viene detta "uomo impiccato", per la forma inquietante dei suoi fiori. Più importante ancora: il cosiddetto cosmosandalon, fiore sacro a Demetra, era con ogni probabilità proprio un'orchidea. E Demetra, si sa, è (con Persefone) per eccellenza la divinità della Luce e dell'Ombra.
Inoltre alcuni usi magici dell'orchidea sono decisamente mortiferi: si crede infatti che, strofinando un'orchidea sul bordo di una tazza di latte, quest'ultimo si secchi completamente. Ecco di nuovo la capacità di isterilire, propria delle divinità ctonie e delle striges.
In Sud America, viene non di rado chiamata Flor de los muertos.

Al pari del ciclamino (e forse anche di più) l'orchidea è dunque emblema meraviglioso di Morte nella Vita e di Vita nella Morte. I due estremi si toccano, la Vita si annuncia e poi si spegne, nell'oscurità - in quell'ombra così cara ai fiori e alle foglie dell'orchis.
Nel ventre buio della Magna Mater (osservate i fiori di una Phalaenopsis o, più ancora, quelli di una Paphiopedilum!) tutto si genera, tutto si distrugge e tutto risorge, in un ciclo inestinguibile...


Phalaenopsis.


Paphiopedilum.

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Misericordia in obscuro

lunedì 25 gennaio 2010

Dell'attesa, del risveglio

Intendevo questo, senza ancora saperlo, quando, su Maghéia parlavo dei piccoli e tuttavia innegabili segnali di risveglio.
Quando scrissi l'articolo, sul blog che gestisco insieme a C., soltanto la mia dendrobium era in piena fioritura e dava cenni di vita; ma ora anche il mio elleboro...



... e la mia waxflower...



... per non dire dei giacinti, di cui già avevo parlato da qualche parte...



... si sono risvegliati con entusiasmo, complici senza dubbio le miti temperature della mia serra nuova nuova (opera di C.!).
Eppure... eppure non si tratta solo del nuovo (per quanto efficace) riparo invernale...
Non ne ho mai fatto mistero, d'inverno vengo spesso sopraffatta da quella che chiamo da anni "l'onda nera", che mi fa diventare indolente, apatica, indifferente alla vita quotidiana e avara di cure verso quelle passioni che amo coltivare durante tutto il resto dell'anno.
Per settimane e settimane ho dedicato alle mie piante (povere creature...) il minimo tempo indispensabile, preferendo di gran lunga rifugiarmi tra libri e scrittura.
Lunedì scorso, però, quando mi sono svegliata, il mio umore era diverso dal solito: più solare a dispetto del tempo uggioso... Come se "sentissi" il fremito silenzioso della terra e della campagna riecheggiare nella mia mente e nelle mie membra.
Così sono andata nella serra, ho pulito, distribuito acqua, tagliato le foglie secche, parlato a lungo...
Dopo qualche giorno... il risultato è stato quello che vedete nelle foto: una specie di risposta al mio inconsapevole richiamo...

* Il post su Maghéia *

venerdì 22 gennaio 2010

Delle porte che si chiudono, necessariamente

Ho sempre cercato di tenere questo piccolo, nero blog separato dal resto delle mie attività sulla rete: questo non certo perché volessi nascondere o camuffare alcune particolarità importanti del mio "essere", ma semplicemente perché ho ritenuto doveroso evitare quanto più possibile di gettare in pasto a chiunque fatti, analisi e parole che non tutti avrebbero potuto comprendere.
Per questo lo pseudonimo di Canidia (che mi è divenuto sempre più caro), per questo la mancanza - quasi dappertutto - di link a questo luogo virtuale.

La chiusura del blog al pubblico (selezionati a parte!) è un passo doveroso, necessario.
Poiché, quando dico che un ramo va tagliato, di rado mi rimangio la parola. Poco importa che adesso alcune persone - che hanno dimostrato di preferire ben altri sentieri - adesso vogliano ritornare a casa. Da me riceveranno cortesia (ci vuole un po' di raffinatezza e di superiorità, in questo mondo urlante), ma non più confidenza. Non voglio più che leggano certi pensieri - questi pensieri, che rappresentano la parte più profonda e intatta di ciò che sono.

A tutti gli altri - a coloro che ho invitato e di cui spero di ricevere presto la visita su queste pagine - ben arrivati.

domenica 17 gennaio 2010

Della sera del 15 gennaio

Per onorare l'Eclissi e la Nera coincidenti, venerdì sera ho acceso candele in tutta casa e bruciato essenza di rosa (fiore che amo e che sboccia nella stagione a me prediletta).
Una delle candele l'ho accesa ai piedi della mia dendrobium fiorita - a dispetto dei rigori invernali.

Lieto inizio!

(Altre folgoranti coincidenze: nel calendario romano il 15 gennaio corrispondeva al secondo giorno di festeggiamenti della Carmentalia: vi si venerava la ninfa Carmenta, dea delle fonti e della veggenza, particolarmente cara alle donne fertili e incinte. Nel suo tempio era possibile introdurre solo offerte vegetali: perfino il cuoio dei calzari era vietato, perché proveniente da animali uccisi. Il che avrebbe rappresentato un nefasto presagio per i nascituri che le devote di Carmenta portavano in grembo. Carmenta è una bellissima e misconosciuta divinità minore della fecondità e del risveglio... Il fatto, poi, che queste sue facoltà siano associate al "canto magico" della veggenza me la rende ancora più cara...)

venerdì 15 gennaio 2010

Della Nera e dell'Eclissi

[...] Migliaia di pesci passeggiano per aria, migliaia di stelle nel tuo sangue. Galline gialle vanno su e giù per le scale di Cnosso. Il bel funambolo cambia la sua liscia asta d'equilibrio con un giglio. Ogni cosa attende di prendere e donarsi. [...]

(G. Ritsos, da Il funambolo e la luna)


Radunati al Bosco della Cittadella per l'eclisse del 3/4 marzo 2008.

Difficile esprimere a parole la gioia assoluta e un po' frenetica per questa giornata e per la notte che sta per arrivare.
Oggi, infatti, non solo arriverà la Nuova (dal buio, ancora la Vita che riprende: la danza di Eurinome che ricomincia - eterna sarabanda!), ma è anche il giorno della più lunga Eclissi del millennio, che concluderà il 141° ciclo di Saros.
Fra i punti di osservazione migliori per questa eclisse anulare ci sarà anche l'India, dove l'avvenimento coincide con la rituale festa indù del Magh Mela.
Secondo questo rito, la cui origine si perde nei tempi più antichi, le immersioni nei fiumi Gange, Yamuna e Saraswati consentono ai fedeli di purificarsi e di spezzare il ciclo di morte e rinascita.
L'Inizio per eccellenza, dunque. In concomitanza con la Nuova e con l'Eclissi.
Come sempre, inseguo il filo rosso nell'intreccio più fitto, alla ricerca di simboli e segnali.
E questo, in particolare, è troppo fulgido per essere ignorato.
Stiamo risalendo la china, la Madre Lunare ci indica la strada...


Una bella Madonna "lunare" fotografata da Gabriele in Israele.

sabato 9 gennaio 2010

Ein jeder Engel ist schrecklich


Il bellissimo angelo di Tilda Swinton in Constantine, di Francis Lawrence.

Chi, se io gridassi, mi udirebbe mai dalle schiere degli angeli ed anche se uno di loro al cuore mi prendesse, io verrei meno per la sua più forte presenza. Perché il bello è solo l'inizio del tremendo, che sopportiamo appena, e il bello lo ammiriamo così perché incurante disdegna di distruggerci. Ogni angelo è tremendo. [...]

(R. M. Rilke, Elegie duinesi, I, vv. 1 - 8.)

Non sono mai riuscita a considerare gli angeli come le classiche creature codificate dalla religione cristiana, tutte fulgore e perfezione celeste, benevole soccorritrici degli uomini in questa "valle di lacrime".
Anche perché, a dirla tutta, neppure gli angeli presentati dalla Bibbia sono questo.
Certo, l'angelo di Tobia è il custode per eccellenza.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi (e nei casi più affascinanti, capaci di soggiogarci e toglierci la parola) gli angeli sono dei combattenti. Sterminatori, se la volontà divina lo vuole e lo ordina.

L'angelo rappresenta, più di ogni altra creatura metafisica, l'irruzione (spaventosa, mortifera) dell'Altro, della dimensione dell'ou-topia (il non-luogo, quello inaccessibile alla mente umana, pena il dilagare della follia) nella realtà dell'uomo, la manifestazione «tremenda del limite, che affligge, insuperabile, ogni umano Dasein» (M. Cacciari, L'angelo necessario).
Per questo, la sua bellezza è tale da sconfinare nell'orrore: così come l'eccesso di luce provoca cecità al pari del buio, allo stesso modo la perfezione angelica diviene mostruosa - e l'angelo (portatore del "messaggio ultimo e terribile") può essere assimilato ai grandi mostri mitologici: Medusa, le Erinni, le Sirene, le Arpie...
Il fascino di questi custodi dell'Eterno è potentissimo, le connessioni che li legano agli archetipi fondanti delle più antiche religioni innegabili, folgoranti.
Per anni ho seguito le loro tracce attraverso saggi letterari e antropologici, poesie, romanzi e pellicole cinematografiche: perfino nelle più mediocri fra queste ultime ho scoperto figure angeliche abbaglianti.
E ancora oggi - sebbene mi stia soffermando in questo periodo su altri campi d'indagine - non riesco a restare insensibile alla potenza irradiata dal Gabriele dell'Annunciazione di Grunewald, dipinto ammirato dal vero lo scorso dicembre, al Museo Unterlinden di Colmar.


L'Annunciazione di Grunewald

La reazione della Madonna, di fronte a lui, non consente equivoci: annientata dalla sua luce, non riesce ad alzare lo sguardo sul messaggero. E' costretta, anzi, a volgere il capo all'indietro e a socchiudere le palpebre, mentre Gabriele (avvolto da vesti rosse e gialle, i colori del fuoco) punta su di lei un dito inquisitorio, quasi minaccioso: il suo messaggio, a ben vedere, non pare essere fra i più rassicuranti.

Andando a scavare a ritroso nel tempo, nella letteratura così come nei testi religiosi (sia cristiani sia dell'antichità pre-cristiana), non si può non notare la somiglianza fra gli angeli e la mater perniciosa: la capacità di folgorare, riducendo in cenere ogni forma di vita (e la cenere è sempre cessazione di vita e, al contempo, nuovo inizio); la connessione stretta con i volatili (di gufi, civette e rapaci diurni ho già parlato); la facoltà di condurre la morte attraverso lo sguardo. (La morte è negli occhi, come scriveva Cesare Pavese.) Infine, la padronanza intrinseca di un linguaggio (il "parlare angelico"), che sovrasta l'umano intelletto e che rende qualsiasi dialogo fra Uomo e Angelo impossibile, pena la sopraffazione del primo da parte del secondo:

Non credere che io supplichi. Angelo, e se anche ti supplicassi! Tu non vieni.

(R. M. Rilke, Elegie duinesi)

Suggestioni
• R. M. Rilke, Elegie duinesi.
Massimo Cacciari, L'angelo necessario, Adelphi: saggio fondamentale per la comprensione e l'interpretazione delle Elegie duinesi di R. M. Rilke.
L'angelo sterminatore di Luis Buñuel, del 1962: autentico capolavoro del regista spagnolo, dove l'angelo mai appare e mai viene menzionato - eppure la sua potenza domina tutto il film, recando morte e disperazione.
The Prophecy - The God's Army, film diretto da Gregory Widen nel 1995: una pellicola tutt'altro che perfetta (sebbene abbastanza originale), che ha come protagonisti proprio tre angeli, tutti con interessanti caratteristiche: ciechi, alati, votati unicamente (o quasi) all'obbedienza. Viene fra l'altro affrontato il tema, squisitamente apocrifo, dell'invidia degli angeli verso gli uomini.


La locandina de L'angelo sterminatore di Luis Buñuel.

«Tutta un'esistenza passata a lodare Dio, ma sempre con un'ala intinta nel sangue. Credi che ti piacerebbe davvero vedere un angelo?»

(Dal film The Prophecy, di Gregory Widen, 1995)