giovedì 29 ottobre 2009

Il Guardiano del Bosco chiama

Il Guardiano del Bosco chiama. La sua voce è nella mia testa e fra i rami del castagno. Mi raccomanda prudenza, ma al tempo stesso mi esorta a compiere il mio dovere.
Per Calenda saremo al Bosco della Partecipanza.
Quella notte le nostre case saranno invase dai sussurri.

«La mia casa è piena di ospiti. Ma chi sono veramente costoro?»

Da ragazzine, Mara e io ripetevamo spesso questa frase. La trascrivevamo sul frontespizio dei libri di Poe e di Maupassant, già allora soggiogate dalla potenza del Trapasso e del Ritorno.
A casa lasceremo doni per spettri e defunti e gli animali saranno guardiani e testimoni della danza meravigliosa.
Quanto a noi, cammineremo fra i sentieri nella notte e tutto il Bosco festeggerà con noi l’avvento e la morte.

Per i cani che latreranno al Suo passaggio…
Per la Signora dalle nere sottane…
Per noi, streghe, creature di furore e di terra…



Ecate protettrice delle strade celebro, trivia, amabile,
celeste e terrestre e marina, dal manto color croco,
sepolcrale, baccheggiante, con le anime dei morti,
figlia di Perse, amante della solitudine, superba dei cervi,
notturna, protettrice dei cani, regina invincibile,
annunciata dal ruggito delle belve, senza cintura, d'aspetto imbattibile,
domatrice di tori, signora che custodisce tutto il cosmo.

(Inno orfico ad Ecate)

martedì 27 ottobre 2009

Dell'irrequietudine e del sangue

I gatti sono irrequieti. Alternano istanti di fermento ad altri di calma sospesa. Interpretano, conoscono - in questi giorni tremendi e oscuri che precedono il Soffio.
Il cane attende, mi osserva, percepisce il mio nervosismo.
Perché sono nervosa, sì - e distruttiva. Mi trattengo a stento, non sopporto nulla.
Mi rifugio, bestia scontrosa, nel rapporto coi miei famigli, gli unici che siano in grado di interagire con me senza irritarmi.
Devo prepararmi. Sopra ogni cosa, devo fare silenzio e ascoltare. I segnali sono impercettibili, ma innegabili...



(Devo s a n g u i n a r e se voglio tornare a essere feconda.)

[...] Ma venne l’urlo,
fra le montagne.
Il grido eterno
della donna che partorì sulle rocce
dando alla luce
un piccolo essere

che non piangeva.

Preferisti
la sofferenza indicibile
delle sue viscere,
il volo delle aquile,
il passo delle capre
sui terreni scoscesi.
L’amasti subito
perché era gigantesca,
immobile e non conosceva altro
che il fluire del sangue
fra le sue gambe.

Rimasi io sola,
ad aspettare il terremoto,
la folata,
il singhiozzo,
a contare gli spettri
che si agitano

in eterno

dopo il mezzogiorno.

lunedì 19 ottobre 2009

Del velo che si solleva

Calenda si sta avvicinando. Non me ne accorgo solo guardando il calendario. E’ nei segni, nel respiro della campagna, nella mia inquietudine che cresce giorno dopo giorno.
Da sempre per me Calenda è lo scoperchiarsi della botola, l’aprirsi del baratro. Il Gioco, questa volta, è quello che ingaggio con me stessa: tenera a bada l’onda nera è imperativo, se non voglio impazzire.
Se ci riescirò, sarà merito della Magna Mater. La ascolto, la assecondo. Osservo e attendo, mentre presto orecchio ai sussurri. Sono loro che mi guidano attraverso il bosco, i sentieri, le scelte da compiere.
Come un gatto mi crogiolo al sole – l’ultimo sole prima della Stagione Oscura.
Qualche pomeriggio fa ho interrato i bulbi di crocus, che spunteranno a inizio primavera: preparo la Terra, preparo la nuova fioritura. C’è qualcosa di consolante e di intimamente famigliare, nel nascondere i bulbi, affidandoli al terreno affinché li custodisca e li protegga dal freddo invernale. Un piccolo rito domestico, una risposta alla voce che si fa sempre più pressante.

«Questa è la notte in cui il velo si solleva...»

Ho provveduto infine a ritirare le piante (le orchidee prima fra tutte, che fioriranno, fragili eppure caparbie, nel pieno dell’autunno), per ripararle dal brusco abbassamento di temperatura dell’ultima settimana.
Da un lato, perciò, il rilascio generoso (materno, femminile) di doni alla terra, in vista del futuro risveglio. Dall’altro la conservazione, la protezione, la chiusura nel silenzio che diviene forza e resistenza.
In questi gesti quotidiani, leggo metafore importanti. E attraverso le metafore tento di mettere a posto tutti i frammenti. Un lavorìo incessante, che verrà mandato all’aria non appena il Portale si spalancherà in una folata. Il Caos, a volte, è imperativo e necessario. Si passa attraverso il Caos, per ricostituire l’Ordine.


I boschi intorno a Villamiroglio, ottobre 2009. Foto di Cristiano.