sabato 25 aprile 2009

Macabra scoperta

La notizia è del 21 aprile scorso ed è stata riportata dal quotidiano "The Herald of Plymouth", oltre che dalla testata italiana "La Repubblica".
A Ugborough, villaggio nel Davon, in Inghilterra, è stato ritrovato, durante i lavori di ristrutturazione di un cottage, un gatto mummificato.
La povera bestiola fu murata nella parete dell'attuale bagno (viva? Spero proprio di no...) circa quattrocento anni fa. Secondo la leggenda locale - che finora non era mai stata presa in considerazione come veritiera - si trattò di uno stratagemma per tenere lontane le streghe dalla casa.
Usanza raccapricciante e crudele, segno tangibile della superstizione popolare contro le streghe e contro gli animali tradizionalmente considerati loro "famigli", paragonabile a quella - molto diffusa nel nord Europa - di inchiodare alle porte civette e barbagianni, quale macabro monito per le fattucchiere.
Il fatto più sconvolgente è che il proprietario del cottage, Richard Parson, pare intenzionato, nonostante la rimostranze della moglie, a ricollocare la piccola mummia nell'intercapedine del muro. Decisione che si commenta da sé e che la dice lunga sull'ignoranza e sui pregiudizi ancora largamente diffusi nella nostra razionalissima e "illuminata" civiltà occidentale.

(Le foto del povero gatto mummificato ve le risparmio: campeggiano sui giornali che ho citato, ma personalmente le trovo di cattivo gusto. Preferisco concludere questo post con l'immagine di un bel gattone... vivo!)


Foto tratta da © Gattoamico

mercoledì 22 aprile 2009

Dell'ostinazione alla Vita

Earth Day 2009

Centra
Per la nostra pulsante, grandiosa, meravigliosa
Terra.
Sempre - e nonostante tutto - viva.

lunedì 20 aprile 2009

Dell'amore per la Terra


Se amate il guadagno facile,
l'aumento annuale di stipendio,
le ferie pagate.
Se desiderate sempre più cose prefabbricate,
se avete paura di conoscere i vostri vicini di casa,
se avete paura di morire
allora nemmeno il vostro futuro
sarà più un mistero per il potere,
la vostra mente sarà perforata in una scheda
e messa via in un cassettino.
Quando vi vorranno far comprare qualcosa
vi chiameranno,
quando vi vorranno far morire per il profitto
ve lo faranno sapere.

Ma tu, amica, ogni giorno,
fai qualcosa che non possa entrare nei loro calcoli.
Ama la Vita. Ama la Terra.
Ama qualcuno che non se lo merita.
Conta su quello che sei e riduci i tuoi bisogni.
Fai qualche piccolo lavoro gratuitamente.
Non ti fidare del governo, di nessun governo,
e abbraccia gli esseri umani,
nel tuo rapporto con ciascuno di loro
riponi la tua speranza politica.
Approva nella natura quello che non capisci
e loda questa ignoranza,
perché ciò che l'uomo non ha razionalizzato
non ha distrutto.
Fai le domande che non hanno risposta.
Investi nel millennio,
Pianta sequoie.
Sostieni che il tuo raccolto principale
è la foresta che non hai piantato
e che non vivrai per sfruttare.
Afferma che le foglie quando si decompongono
Diventano fertilità:
Chiama questo "profitto".
Una profezia così si avvera sempre.
Poni la tua fiducia
nei cinque centimetri di humus
che si formeranno sotto gli alberi
ogni mille anni.
Metti l'orecchio vicino e ascolta
I bisbigli delle canzoni a venire.
Sii pieno di gioia,
nonostante tutto,
e sorridi,
il sorriso è incalcolabile.
Finché la donna non si svilisce nella corsa al potere,
ascolta la donna più dell'uomo.
Domandati:
questo potrà dar gioia alla donna
che è contenta di aspettare un bambino?
Quest'altro disturberà il sonno della donna
vicina a partorire?
Vai col tuo amore nei campi.
Stendetevi tranquilli all'ombra.
Posa il capo sul suo grembo
e vota fedeltà alle cose più vicine al tuo cuore.

Appena vedi che i generali e i politicanti
riescono a prevedere i movimenti del tuo pensiero,
abbandonalo.
Lascialo come un segnale per indicare
la falsa traccia,
la via che non hai preso.
Sii come la volpe che lascia molte più tracce del necessario,
alcune nella direzione sbagliata.
Pratica la meditazione.

(Wendell Berry, poeta e farmer "bio" americano. Riportato su Bionieri da Renato, che ringrazio di tutto cuore: ogni parola trasmessa, ogni sogno ribadito - tenacemente - contribuiscono a mantenerci Vivi...)

martedì 14 aprile 2009

Della magia: il codice magico


Dance of the Witches di © Peter Lindahl

Già in passato avevo suggerito che la magia potesse avere legami più o meno stretti con la parola "poetica" (= dal greco poièo, "fare, costruire, inventare, comporre"), nel tentativo - tutt'ora in fieri - di ripercorrere, attraverso il tempo e lo spazio, le radici della fìsica.

Le ricerche di Carla Fioravanti (che ha intervistato numerose persone sul tema della magia, riassumendo poi tutto il materiale nelle splendide puntate del 2006 de Il Terzo Anello, trasmissione radiofonica di RadioTre) mi hanno in qualche modo dato conferma che la strada della funzione "poietica" della magia è quella giusta.

Infatti, che altro sarebbe la magia, se non un codice - ovvero un insieme di segni atto a interpretare (e dunque a conoscere) la realtà?
Esposto in questi termini, potrà sembrare un concetto piuttosto arido, che di certo piacerà poco a quei "romantici" affezionati a una visione ingenua e semplicistica della magia.
Eppure, a ben rifletterci, non esiste nulla di più profondo e "intestino" della volontà di un nucleo sociale di decodificare e conoscere il microcosmo che lo circonda e della conseguente creazione di un codice atto a svolgere tale funzione.
Alla base della nascita del "codice della magia" ci sono perciò il terrore ancestrale nei confronti della malattia e della morte; la paura di smarrirsi all'interno della propria comunità, vedendo svanire la stima e il rispetto dei propri simili; il timore dell'invidia, che può abbattersi su ciascuno di noi con la furia di un demone vendicatore; e, non da ultimo, l'amore per la terra foriera di vita - che in un attimo può essere resa sterile da una potente fattura... Sullo sfondo di tutto questo, la tensione umana mai sopita verso il divino - quella mano sempre tesa a sollevare il velo per scorgere l'inconoscibile. «Il mago è, in piccolo, tutto ciò che Dio rappresenta» afferma senza esitazioni una delle donne intervistate da Carla Fioravanti. Ancora, più avanti:

«La magia è riuscire a passare da un livello di osservazione e di percezione della realtà esteriore, apparente, sino a giungere alla comprensione - attraverso una serenità e una tranquillità interiori - di ciò che si muove sotto l'apparenza».

In questo il mago è simile al "dio" ed è simile all'artista (al poeta!), che spesso e volentieri viene definito "uomo d'ordine": al di là del guizzo creativo, tanto il mago quanto l'artista devono seguire un criterio, che li porterà all'aequilibrium necessario all'atto poietico.

sabato 4 aprile 2009

Della fascinazione del sangue - parte IV: il sangue purificatore, la nekyia

Nel corso delle mie riflessioni divaganti sul sangue, sui suoi significati simbolici e utilizzi, mi sono resa conto quanto sia complesso seguire un’unica linea di trattazione: questo perché l’argomento presenta numerose suggestioni, non necessariamente concordanti le une alle altre.
Il sangue è presente infatti nella letteratura e nella religione di moltissime culture e in ciascun nucleo sociale può essere visto e rappresentato da più punti di vista.
Io stessa ho parlato del sangue come elemento purificatore e del sangue quale veicolo della morte sterminatrice (il sangue mestruale).
In generale è importante rilevare che il sangue possiede la duplice valenza tipica di molti symbola riconducibili, in un modo o nell’altro, ai culti matriarcali: se la perdita del fluido vitale provoca la morte, al tempo stesso chi lo assume (attraverso ingestione o tramite tintura dei capelli o di altre parti del corpo) può incamerare forza ed energia o addirittura essere purificato, entrando così in contatto con la divinità.
E’ quanto accade alle maghe tessale, che bevendo il sangue sacrificale ricevevano il potere di evocare i morti. Ed è quanto accade in Omero e Virgilio, quando viene riferito l’episodio della nekyia:

Addotto in su l'arena il buon naviglio,
E il monto e la pecora sbarcati,
Alla corrente dell'Oceano in riva
Camminavam; finché venimmo ai lochi
Che la dea c'insegnò. Quivi per mano
Eurìloco teneano e Perimede
Le due vittime; ed io, fuor tratto il brando,
Scavai la fossa cubitale, e mele
Con vino, indi vin puro e lucid'onda
Versàivi, a onor de' trapassati, intorno
E di bianche farine il tutto aspersi.
Poi degli estinti le debili teste
Pregai, promisi lor che nel mio tetto,
Entrato con la nave in porto appena,
Vacca infeconda, dell'armento fiore,
Lor sagrificherei, di doni il rogo
Rïempiendo; e che al sol Tiresia, e a parte,
Immolerei nerissimo arïete,
Che della greggia mia pasca il più bello.
Fatte ai mani le preci, ambo afferrai
Le vittime, e sgozzàile in su la fossa,
Che tutto riceveane il sangue oscuro.
Ed ecco sorger della gente morta
Dal più cupo dell'Erebo, e assembrarsi
Le pallid'ombre: giovanette spose,
Garzoni ignari delle nozze, vecchi
Da nemica fortuna assai versati,
E verginelle tenere, che impressi
Portano i cuori di recente lutto;
E molti dalle acute aste guerrieri
Nel campo un dì feriti, a cui rosseggia
Sul petto ancor l'insanguinato usbergo.
Accorrean quinci e quindi, e tanti a tondo
Aggiravan la fossa, e con tai grida,
Ch'io ne gelai per subitana tema.

(Omero, Odissea, libro XI, vv. 23-57)

Passo di notevole forza evocativa, tratteggia agli occhi del lettore un’immagine fosca e potente: non appena Odisseo sgozza le sue vittime, versando il loro sangue nella fossa scavata nel terreno, ecco che subito intorno ad essa si affollano i morti. Morti che non sono ombre silenziose, come potremmo immaginare: sono ombre di ogni tipo (giovinetti, fanciulle, guerrieri in armi…) che gridano, quasi a riaffermare la propria esistenza e il proprio attaccamento alla vita.
Il sangue è il mezzo per sollevare il velo che sapara il mondo dei vivi da quello dei morti - offerta sacrificale per le divinità infere e, al tempo stesso, veicolo di purificazione per i vivi che debbono compiere il grande passo.

V'era una profonda grotta, immane di vasta apertura,
rocciosa, difesa da un nero lago e dalle tenebre dei boschi,

sulla quale nessun volatile poteva impunemente dirigere

il corso con l'ali; tali esalazioni si levavano
effondendosi dalle oscure fauci alla volta del cielo.
[...]
Qui dapprima la sacerdotessa collocò quattro giovechi

dalle nere terga e versò vino sulla loro fronte,
e strappando dalla sommità del capo setole in mezzo alle corna,

le pose sui fuochi sacri, prima offerta votiva,

invocando con forza Ecate, potente nel cielo e nell'Erebo.

Altri sottopongono coltelli e raccolgono nelle coppe
il tiepido sangue. [...]
Ed ecco, alla soglia dei primi raggi del sole,

la terra mugghiò sotto i piedi, i gioghi delle selve

cominciarono a tremare, e sembrò che cagne ululassero
nell'ombra all'arrivo della dea...


(Virgilio, Eneide, libro VI, vv. 236-257)


Ecate con le fiaccole: immagine presa da Internet

L'accostamento del sangue sacrificale versato all'immagine di Ecate, dea del "passaggio" e del limite che viene valicato è in Virgilio quanto mai significativo, poiché ribadisce il triplice legame tra il sangue (ingrediente primario della nekyia, nei riti di purificazione e nei filtri magici, come specificherò più avanti), le divinità ctonie e la possibilità di passare dalla Vita alla Morte - possibilità che lo stesso mito del vampirismo ribadisce, pur ribaltandola.