mercoledì 21 maggio 2008

Angizia

Dea osca (gli Oschi erano una popolazione pre-romana, che occupava il territorio dell’attuale Campania) della guarigione, a metà strada fra la divinità vera e propria e la maga.
Poteva uccidere i serpenti con il solo tocco della mano e i suoi rimedi contro il morso di queste creature erano infallibili. Il suo nome deriverebbe proprio da questa sua peculiarità: anguis, in latino, significa per l’appunto “serpente”.

Le notizie mitologiche sul suo conto sono veramente esigue. E’ probabile che i Romani la identificassero con Bona Dea.

Silio Italico, nelle sue Punicae, così ne parla:

Angitia, figlia di Eeta, per prima scoprì le male erbe,
così dicono, e maneggiava da padrona
i veleni e traeva giù la luna dal cielo;
con le grida i fiumi tratteneva e,
chiamandole, spogliava i monti delle selve.


Da notare che l’immagine della fattucchiera potente, capace di dominare con le proprie arti perfino gli astri è un topos ricorrente nella letteratura greco-latina.

William Smith, nel suo Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology ipotizza che la prima origine di questa divinità sia da rintracciare in Grecia: Angizia sarebbe stato il nome dato dai Marsi (popolazione italica che viveva nella zona del lago Fucino, in Abruzzo) a Medea.


Il tempio di Angizia
Immagine © Tempo per vivere

Il santuario di Angizia era collocato sulle rive della Conca del Fucino: gli abitanti della zona, secondo la tradizione, avrebbero ereditato dalla "magadea" la capacità di produrre ottimi antidoti contro il veleno dei serpenti.


Immagine © Thaliatook.com

martedì 13 maggio 2008

Via la polvere e le ragnatele...

... apriamo le finestre per fare entrare un po' d'aria fresca.
Questo blog ne ha bisogno, abbandonato com'è ormai da due mesi a se stesso.
Finalmente ho la connessione a casa e potrò tornare a lavorare al sito, ai blog - a tutti i miei progetti, insomma.
Fa uno strano effetto scrivere da qui, da questa stanzetta in cui regna il caos perché "lo studio" (come lo chiamiamo pretenziosamente io e Cri) è ancora tutto da sistemare: mancano il lampadario, il tappeto, i quadri, un'abat-jour per il tavolino. Abbiamo montato solo la vecchia libreria del nonno, per i volumi più pesanti, la scrivania e questo pc.

Per anni ho scritto su queste pagine virtuali dalla mia vecchia stanza, alla quale, d'estate, giungevano i rumori della strada: l'andirivieni delle macchine, qualche strillo dei miei rumorosi vicini. Qui sento a malapena il gragra delle ranocchie, dal cortile posteriore, e il vocione di Tina, il segugio del mio vicino.
Ma la malinconia, ormai, è un ricordo sfumato. Sempre di più le sento mie, queste stanze incomplete.
Nel cortile ci sono tutti i miei vasi, la pianta dell'alloro è diventata il rifugio prediletto dei passeri della zona: a detta dei vicini, non era mai stata così affollata. Dò da mangiare ai gatti, stendo e lavo quando mi pare e quando posso. E' casa mia. La sistemo come piace a me.

Se mi manca il passato? Certo. Il passato, specie se è stato un passato tutto sommato gradevole e "fortunato", manca sempre.
Eppure qualcuno, in un mirabile film di Martin Scorsese, diceva: «Se si rimane attaccati al passato, si muore un po' ogni giorno».
Io l'ho sempre considerata una sacrosanta verità.
Perciò vado avanti.
Salpo - trepidante, timorosa, entusiasta.
Senza dimenticare (è ovvio) la strada che mi riporterà a casa.
Qualunque essa sia.